Una voce Poco fa....

 Tutti possiamo avere un angelo custode. Marcel Proust aveva "l'angelo della notte", Bunuel quello della morte, la fantasia di Gaston Leroux (1868-1927), I'autore del romanzo gotico da cui è tratto lo spettacolo, creò I'angelo della musica.

Attingere da una storia che ha conosciuto ben otto versioni cinematografiche (l'ultima di L. Webber-Dicembre 2004) e un numero imprecisato di versioni teatrali è stato temerario e straordinariamente affascinante.

Infatti, narrare vicende riferibili ad un plot di cui si conosce ogni più piccola piega, significava sottoporsi inevitabilmente a paragoni e giudizi.

Il  copione avrebbe dovuto strizzare l'occhio al genere horror o a quello grottesco? A quello della passione, dell'amor fou, della fatalità?

Tra le mani, perché c'è un angelo anche degli scrittori, mi scivolava, proprio mentre dubbioso mi accingevo a incominciare, un testo del polacco Bruno Jasienski (1901-1939) dal titolo "Il ballo dei manichini".

Intuii come quella commedia racchiudesse elementi preziosi che potevano venire sviluppati in un modo del tutto nuovo.

Potevano aiutare gli attori del nostro "Laboratorio di teatro" a muoversi con maggiore scioltezza sulla scena.

Jasienski è soprattutto poeta e come tale viene ricordato nel suo paese.

Ma negli anni dell'esilio parigino (1930) compose questa commedia, quasi sconosciuta da noi, come del resto tutta la sua produzione.

"Il ballo dei manichini" è un racconto surreale che descrive con candore le vicende di un vivace gruppo di manichini/persone.

Ecco allora che la storia d'amore di Erik ovvero il fantasma dell'opera, costretto a nascondere le sue orrende fattezze dietro una maschera, per Christine la bellissima soprano, trovava insperatamente I'ambiente in cui essere rappresentata: la soffitta del teatro d'opera di Parigi e nei manichini di Jasienski gli interpreti dei personaggi del libro di Leroux.

Sarebbero stati loro che, di volta in volta, animandosi, avrebbero calzato i panni dei protagonisti della storia, vestendosi ora da fantasma ora da Christine per ricreare, ciascuno in base alla propria sensibilità, l'interpretazione più adatta a rappresentarli.

Un meccanismo narrativo tipico della fiaba in grado di contemperare lo spirito della storia tra la commedia e la suggestione, il feuilleton e I'incantesimo.

Il gusto che domina allora è quello del melodramma: poiché si parla di cantanti d'opera, di un mostro e di un'eroina dai tratti fumettistici, affascinante.

Tipico contrasto tra luce (la bella-Christine) e ombra (l'orrido-Il fantasma) di tanta letteratura di fine '800.

I manichini quindi cominciano ad esistere.

Da immobili "appendicostumi" a fantasmi, proiezioni dei vivi.

Del romanzo mi è parso poi indispensabile introdurre quella lieve ironia e inoltre quel tratto piccolo-borghese della Creatura (le similitudini con Frankenstein sono evidenti) frutto della fervida immaginazione di un autore che vive immerso nella cultura della bella époque.

Nelle numerose e intense rappresentazioni cui ho avuto occasione di assistere, a mio avviso, non è stato sufficientemente sottolineato il mistero della voce del fantasma carica di morbosità e di suoni, che si trova chiaramente suggerito nel romanzo originale.

Il mio copione negli intenti avrebbe dovuto quindi riportare a galla questo aspetto del protagonista.

Nella stesura di un testo per molti aspetti simile ad uno spartito musicale, dove anche le virgole assumerebbero un valore fonico, ecco quindi prendere forma la seduzione della voce umana nel tempio o meglio nella soffitta del tempio della musica europea: l'Opera di Parigi.

E' allora proprio il caso di parafrasarela celebre cavatina Rossiniana: "Una voce poco fa - qui nel cuor mi risuonò - il mio cuor ferito è già - ed Erik fu che il piagò".

STEFANO MARIA PALMITESSA

Art - Director

 

Note di Regia


Attratto dai fantasmi, dopo vent’anni di attese e di studio, realizzo la mia ricerca sul "Fantasma dell'Opera".

In uno spettacolo percorso da tanta musica metto in scena dei manichini traballanti e sgangherati che urlando sempre più del dovuto e reclamando la loro "diversità" rievocano la storia d'amore e di follia dei protagonisti del romanzo dr Leroux.

Ho chiesto agli attori movimenti caricaturali e marionettistici uniti a una recitazione espressionista tipica dei primi film muti del '900 (vedi il "Fantasma dell'Opera" con la regia di Julian del 1924).

Come manichini imitano una vita, delle emozioni che crudelmente non avranno mai.

Chiusi in un sogno di una notte; danzano tra loro e dialogano meravigliandosi della vita degli umani.

Siamo in una soffitta fredda e polverosa, piena di ricordi e di altri manichini abbandonati, attraversata da un bagliore di luce (vita).

Un fantasma apre il sogno e un fantasma lo chiude.

CLAUDIO JANKOWSKI

Regista


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