Cosa accadrebbe se un gruppo di attori (nella realtà tearra e nella commedia da recitare) incontrasse proprio lui, Carlo Goldoni (1707-1793) il venerabile riformatore del teatro? Questo è quanto avviene nello spettacolo liberamente tratto "Il Teatro Comico" scritto dal geniale veneziano, durante quaresima del 175O e realizzato dagli allievi del Laboratorio Teatro Studio ]ankowski, da una mia idea.
La commedia, che debutterà il 29 aprile 2003 presso il Teatro Crec di Roma, la cui struttura formale poggia sulle discussioni tra gli attori che, con il capocomico Orazio/Goldoni, chiariscono e mettono punto le difficoltà di un indispensabile riforma della "maniera" di fare teatro, è ampliata dall'inserimento di scene tratte da "La vendetta" (1834) del polacco Aleksander Fredro.
La scelta di questa rielaborazione sta nel programma che il Laboratorio s'è dato: promuovere l'incontro della drammaturgia italiana e polacca attraverso un confronto che metta in risalto le Contiguità e i tratti caratteristici comuni alle due culture, unite da affini valori umani e artistici.
L'evento, in prima assoluta, si avvarrà del prestigioso patrocinio dell'Istituto Polacco di Roma.
Fredro (Suchorow-]aroslaw, Galizia 1793 - Leopoli 1876) è forse il più brillante e raffinato drammaturgo polacco; creatore del teatro nazionale, autore di pregevoli commedie, ne scrisse una quarantina, alcune brevissime ispirate a Molière, con influssi provenienti da De Musset e dallo stesso Goldoni. Tra esse ricordiamo: Il signor Geldhab, Marito e moglie, Le dame e gli ussari, Il signor ]owialski, I voti delle fanciulle, L'educanda, Degno di pietà, e numerosi poemi e romanzi.
Gli elementi migliori del suo teatro risultano, infatti, essere oltre ad una speciale "leggerezza" , il gusto molto "goldoniano" del libero gioco, l'inesauribile vena comica, di cui La Vendetta, tradotta dal polacco esclusivamente per il Teatro studio da Anna Kurdziel, ne è mirabile esempio. L'accostamento tra l'autore veneziano e Fredro, nella nuova trama del copione, non manca di offrire insolite situazioni con chiare allusioni al mondo sado-maso di De Sade aggiornate, in alcuni momenti, da un'ambientazione con espliciti accenni alla contemporanea moda fetish. Il fantasma di un'epoca che sta per finire appare in tutta la sua ambiguità, l'epoca, inevitabilmente trapassata, del recitare improvvisando da parte delle maschere della Commedia dell'Arte, il manifestarsi del vago sentore di una nuova logica di mercato, di incalcolabile peso nelle mani di uno scrittore di commedie. La presenza in scena, in voce, con mani e braccia di Goldoni alias Orazio, che come direbbe Foster Wallace rappresenta quello che De Niro è per Scorsese, Me Lachlan per Lynch, Allen per Allen, ha comportato un notevole impegno per tutta la compagnia.
Nell'ars combinatoria, dove i linguaggi si confondono nel gioco concettuale, si inserisce perfettamente il lavoro dello psicodrammatista "moreniano" Andrea Cocchi, direttore della Scuola di Psicodramma del Teatro stabile "Arena del sole" di Bologna che ha stimolato il gruppo di attori a parlare di se stessi, a ricercare quella radice, uguale per tutti, che genera le diversità.
Lo stesso Cocchi parteciperà nella replica del 13 Maggio 2003 con un cammeo dal titolo "La prima volta" . L'aspetto visivo del lavoro, dedicato al trucco, particolarmente ricercato come negli spettacoli precedenti, è stato curato da "Il Makiage di New York".
La regia di Claudio ]ankowski, rigorosa nel saper equilibrare il sapiente impasto linguistico che risulta dalle parole un po' venete e un po' lombarde, sa tuttavia condurci per mano nei meandri di una Venezia, fantasmatica, in bianco e nero tanto concretamente umida quanto oniricamente reinventata, aiutata dal" gioco", anche qui, di contaminazioni escogitato dallo scenografo polacco Krzysztof M. Bednarski; artista rappresentativo della cosiddetta generazione di mezzo, già collaboratore negli anni '70 di ]erzy Grotowski, il cui uso provocatorio/simbolico dell'iconografia marxista, evidente nelle sue irridenti maschere, si accorda con l'eterno presente dell'azione teatrale e con il bozzetto realizzato da Santuzza Calì per la locandina dello spettacolo, che rappresenta uno degli esclusivi costumi di scena.
Un capriccio stravagante alla moda del XXI secolo.


Stefano Maria Palmitessa

 


La chiave di lettura dello spettacolo è nella battuta di Pantalone al suo impresario: " ... sapete che ho? Una paura, che non so in che mondo che sia". Su questa chiave ho montato il resto. L'inquietudine di un mondo che sta cambiando, è quello che ci voleva trasmettere Goldoni in questo manifesto teatrale che annuncia il passaggio di un'epoca, dalla commedia dell'Arte alla commedia affidata al copione, in una Venezia che sente i sintomi di un cambiamento e di una decadenza. In questo ho sentito l'inquietudine esistenziale del nostro mondo e della nostra epoca. Ho voluto uno spettacolo con delle forti contaminazioni, un accostamento di un testo emozionante come "La Vendetta" di Fredro ad incastonarsi ne "Il Teatro Comico" goldoniano in alcuni scorci di gioco grottesco e di seduzione come emanazione di un altro tempo; un teatro "immagine", simbolico, con il quale costruisco delle emozioni come la donna mascherata all'inizio, simbolo di una bellezza degradata dalla decadenza, come i "tableaux vivant" nei quali si fissano i personaggi una volta terminato il loro ruolo e come ancora il clochard che attraversa la scena tra la musica-pioggia e i lampi impersonando la nostra ricerca umana di una fine, di una direzione, di un senso. Un'altra provocazione sarà stata quella di affidare al pubblico il ruolo di far rivivere 400 comparse in maschera, testimoni di un teatro (il mondo?) dall'identità smarrita (la nostra?) che si cerca in un gioco comico e grottesco partecipando all'azione. E ancora balli, musiche "techno" per corruire un lavoro che abbia un forte impatto emotivo e perché appia ridare le forti emozioni che strutturano il nostro messaggio. Nel trucco e nelle maschere c'è l'ultimo codice di lettura. Le maschere sono inquietanti così come questi interpreti così simili ad un gruppo di fantasmi marcescenti che agiscono sullo sfondo di una Venezia vuota, rappresentata simbolicamente nell'installazione delle due maschere che si guardano di Bednarski; su questo sfondo i personaggi si cercano, cercano le proprie identità smarrite negli specchi ... solo le maschere non si cercano ... ogni personaggio cerca la propria identità smarrita in se stesso e negli altri, nel proprio trucco marcato ed espressionista, curandolo maniacalmente e intervenendo su quello degli altri, alla ricerca di un io, una ricerca di fantasmi che non si riflettono negli specchi, che non sanno e non possono vedersi per ritrovarsi. La comicità dello spettacolo è irriguardosa, a volte carica di una connotazione grottesca e provocatoria. Ho voluto costruire un sogno carico di emozioni, magie e illusioni, per chiederei di ritrovare una parte nel nostro
zioco del vedere (noi stessi .. ), che spesso ci spaventa più che farci ridere ... alla ricerca di un teatro che cambi la vita e che non ci faccia sentire "al sicuro" dietro identità nascoste.


Claudio Jankowski

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